Rotolando verso Sud: l’Umbria affonda nel post Covid, si salvano le costruzioni

Rotolando verso Sud: l’Umbria affonda nel post Covid, si salvano le costruzioni

L’Umbria va sempre più giù. Un dato sconfortante e triste, non certo sorprendente, visto che la tendenza dura ormai da diverso tempo. Ma quando a certificarlo è una realtà come la Svimez, l’agenzia per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno, allora bisognerebbe che le istituzioni accendessero la lampadina dell’allerta. Qui non è questione di colore politico, sia chiaro: il problema è annoso e trasversale alle giunte e per questo ancora più grave.

La consolazione – magra, ma pure sempre presente – per chi come la Filca si occupa di costruzioni è che il settore edile è fra i pochi a non essere crollato in un’Umbria che ormai è chiaramente la prima regione del Sud Italia.

I dati del Pil: Umbria verso Sud

Rotolando verso Sud” cantavano i Negrita in un celebre brano di quasi 20 anni fa. Niente si applica meglio ai dati della regione Umbria, che nel quadriennio 2019-2022 fa segnare il dato peggiore d’Italia per variazione del Pil (-1,6). Come si può notare dalla cartina qui sotto, il centro Italia è l’unica area dello Stivale che arretra quindi il dato è decisamente allarmante.

Luca Bianchi, direttore di Svimez, parlando al Messaggero, spiega chiaramente il perché di questo arretramento: “C’è sicuramente -dice – un problema di identità. È in corso una nuova polarizzazione tra Nord e Sud, e in questo contesto è mancata un’idea di sviluppo anche per l’asse centrale. Che paga, ritengo, un grande problema di collegamenti infrastrutturali. Nessuno ne parla, ma c’è un’assenza di connessioni orizzontali. Ci si è concentrati soprattutto sullo sviluppo dei collegamenti che da nord vanno a sud  pochissimo su quelli che vanno da ovest a est. Manca una connessione tra i territori dell’Italia centrale. Si soffre soprattutto sull’asse Umbria-Lazio-Toscana-Abruzzo e Marche. Manca un disegno di sviluppo complessivo. Un contesto nel quale ci sono stati dei fattori di crisi specifica. La deindustrializzazione ha riguardato in maniera marcata l’Umbria”.

Problemi infrastrutturali, deindustrializzazione, un Centro in cerca di identità nel quale la regione arranca più di tutte le altre. Vecchie questioni ormai polverose e che però sono sempre lì, da decenni. Manca una visione di lungo raggio, che vada al di là dell’interesse elettorale.

Nel dettaglio, l’Umbria fa segnare nel 2023 la crescita reale del Pil di 0,3 punti inserita però in contesto quadriennale che lo ha visto crollare di 2,5 punti. Un declino inesorabile che è prima di tutto generazionale. Proprio a questi giorni risale infatti il dato diffuso da Unioncamere e Confartigianato secondo il quale la regione è al terzo posto in Italia per skill mismatch nelle competenze digitali.

Su 6.220 entrate previste con elevata professionalità, ben 3.750 sono difficili da reperire, pari al 60,3 percento. Solo Trentino-Alto Adige (65,8) e Friuli-Venezia Giulia (62,6) mostrano percentuali più alte. A livello provinciale poi, è drammatico il dato di Terni, terzo peggior comune d’Italia: su 1.310 ingressi previsti con elevata richiesta di competenze digitali, 880 sono considerati difficili da reperire, ovvero il 67,5 percento del totale. Poco meglio il dato perugino.

Il lavoro non è per i giovani

E il lavoro? Il lavoro in teoria ci sarebbe, almeno questo dicono i dati. Nel 2023 si registra una leggera crescita (2,8), con un aumento dei contratti a tempo indeterminato (+7,2) e un calo di quelli a tempo determinato (-1,4). Ma se tengono i contratti  a tempo pieno (+2,89), ce ne sono ancora troppi part time (+2,7) e di part time “involontario”, cioè di lavoratori pagati per metà tempo ma impiegati di fatto a tempo pieno (+2,2): l’Umbria è l’unica regione del centro Italia dove questo ultimo dato cresce.

Il lavoro ci sarebbe, si diceva. Ma scorrendo bene i dati la storia è diversa. Perché se il lavoro femminile fa piccoli passi avanti (+1,5), ma sempre meno di quello maschile (3,8), il vero allarme è dato dal fatto che rispetto al 2022 cresce la fascia degli occupati over 50 (+7,7) e leggermente quella degli Under 35 (+1,5)  mentre la fascia di mezzo fa segnare un -1.8. Un dato che ovviamente sta a significare che la popolazione lavorativa umbra invecchia e non subisce alcun ricambio generazionale (e in gran parte gli Under 35 lavorano perché ci sono delle agevolazioni per assumerli). A confermare il dato c’è il fatto che gli over 50 sono gli unici a crescere come occupati su base quadriennale (mentre le donne perdono lo 0,3).

Per quanto concerne gli altri indicatori chiave del mercato del lavoro, l’Umbria fa segnare  un tasso di attività pressochè stabile nel quadriennio (70,6, ovvero -0,1); un tasso di occupazione in discesa (64,5 contro 66,5); una disoccupazione cresciuta di 2,5 punti (8,5 contro 6) che però è allarmante a livello giovanile, intendendo per tali gli under 35 (26,5 contro 18,3 del 2019). Mentre i cosiddetti Neet (il tasso di mancata partecipazione al lavoro) sono nel 2023 al 13,7 contro il 10 del 2019.

Costruzioni ed edilizia: piccoli sorrisi

In questo quadro desolante, la Svimez indica il comparto delle costruzioni come trainante, il solo a reggere l’urto di un declino avanzato. Nel 2023, l’edilizia fa segnare in Umbria un valore aggiunto in crescita per le costruzioni di 4,8 punti nel 2023 e complessivamente di 14,3 punti nel quadriennio. Un dato che si riflette anche su base occupazionale, col settore che fa segnare un +12,1 percento di crescita su base quadriennale e una crescita del 5,7 nel 2023 rispetto al 2022 (fanno meglio solo i servizi). Questo in una dinamica che vede gli occupati delle costruzioni crescere solo al Centro (circa 8000 in più in un anno).

 Sul valore aggiunto, la Svimez sottolinea come “A determinare la debole congiuntura delle regioni del Centro hanno contribuito un calo del valore aggiunto industriale più che doppio rispetto alla media nazionale (-2,6; -1,1 il dato Italia) e una crescita dei servizi che si è fermata al +1,1 (+1,6% la media nazionale), che hanno sterilizzato la buona dinamica delle costruzioni (+6,2%)”. In Umbria reggono anche i servizi, insieme al turismo, mentre l’industria in senso stretto fa segnare come detto una fortissima contrazione (oltre 9 punti su base quadriennale) e l’agricoltura addirittura un tracollo (-23 percento in 4 anni).

Per quanto concerne gli investimenti in costruzioni pubblici e privati, l’Umbria si inserisce in un contesto che vede la macroarea del centro crescere del 4,4 su prezzi correnti nel 2023 (60 percento su base quadriennale) e del 4 sui prezzi costanti (29,1 nel quadriennio). A livello regionale, sul fronte investimenti pubblici in costruzioni, l’Umbria fa segnare una variazione del 58.9 in positivo nel 2023 e del 130,2 nel quadriennio. Chiaramente, questi dati sono “dopati” dal Superbonus che ha dato una forte spinta al comparto soprattutto nel periodo 2020-2022. “il rafforzamento degli investimenti pubblici – sottolinea Svimez- è stato evidente in tutte le ripartizioni territoriali, e appare destinato a protrarsi ancora alla luce dell’ambizioso programma di interventi finanziati nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza”.

Il rapporto completo della Svimez è disponibile a questo link.

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